Intervista a Michele Marinato. Direttore commerciale, divisione multimediale.

Intervista a Michele Marinato. Direttore commerciale, divisione multimediale.


Di lui sappiamo che è un professionista audace e un fantasista, nonché Direttore commerciale della divisione multimediale di Alma Pro, azienda che da anni opera nel Culturale Heritage proponendo progetti digitali concreti, sostenibili e coinvolgenti di comunicazione e promozione territoriale. Milanese e veneziano, appassionato di storia dell’arte, ha costruito il suo lavoro avvalendosi di una particolare filosofia: non smettere di chiedersi mai il perché di ogni cosa. Perché un’opera è concepita in quel modo? Perché i musei devono reinventarsi? Perché la digitalizzazione culturale è un fenomeno al quale prestare sempre più attenzione? Di tutto questo ed altro ne abbiamo parlato insieme.
 

Definiscimi il tuo lavoro.

Il mio lavoro, più che un lavoro è una passione. Sono una di quelle persone fortunate che fa quello che ama circondato da storia, cultura arte.

 

Quindi cosa fai nello specifico?

Mi occupo di cercare e creare opportunità nell’ambiente dell’amministrazione pubblica, dei musei, dei siti archeologici, religiosi, storici, andando a vedere con i nostri occhi cosa c’è da fare e ricostruire.

 

Il claim di Alma è: “contribuiamo a divulgare bellezza.”  Come ci sei arrivato?

Cercando di realizzare quello che a me è sempre mancato come turista, la possibilità di essere aiutato, guidato e interessato a continuare una visita. Faccio sempre l’esempio dei musei che nella stragrande maggioranza dei casi alla terza sala ci annoiano perché siamo obbligati a leggere le targhette bianche con le scritte in piccolo e, quindi quello che stiamo cercando di fare è di rendere vivibile, emozionante la visita all’interno di un museo, un sito storico o un borgo.

 

Cos’è per te la bellezza?

Conoscere e capire.

 

Il tuo obbiettivo più grande?

Mettere tutti in condizione di entusiasmarsi ogni volta che visitano qualche cosa.

 

Per te il museo del futuro come dovrebbe essere?

Deve essere assolutamente un museo interattivo. Le generazioni ormai sono abituate alla tecnologia e, sono sempre più curiose. Ti faccio un esempio banale: se io entro in un museo e vedo uno sperone di un cavaliere, quando ho visto il terzo, sono stanco e annoiato. Probabilmente se guardando la teca dove sono conservati gli speroni, più o meno malmessi e, gli faccio una ricostruzione olografica di come erano integri, ecco, guarderò poi con interesse anche gli altri esposti. Riesco – per l’appunto – a capire com’erano, come funzionavano. Ho fatto l’esempio dello sperone ricostruito, ma poi può essere lo sperone indossato nel piede del cavaliere ripreso nella sua interezza, rivestito dall’armatura. In questo modo si va a completare l’informazione su com’erano armati i cavalieri, del perché si cavalcava in un certo modo. Abbiamo così, tutte informazioni che non si sanno nell’immediato e che si fatica a trovare.

 

Si. Si fa dono alla comunità di un bagaglio d’informazioni che nella maggioranza dei casi sono in possesso di esperti e studiosi?

Esatto. I visitatori di un museo non sono tutti storici o studiosi. E poi, occorre lavorare affinché il visitatore ritorni nello stesso luogo perché ne è uscito contento.

 

Il museo oltre ad essere interattivo, deve essere un centro ricreativo al quale ritornare?

Si. Questo è realizzabile sicuramente non solo attraverso i metodi tradizionali che vengono usati ancora adesso. Aldilà della bellezza intrinseca dell’opera se vado ai Musei Vaticani e vedo la Cappella Sistina, non ho bisogno di immaginare quanto è bella, perché lo vedo da me. Probabilmente se ci arrivo tramite un percorso ho la possibilità di visitare con un occhio e una maturità diversa. Se in più, mentre la sto guardando, riesco a immaginare e, lo immagino perché mi aiutano ad immaginarlo, Michelangelo che per anni è stato sdraiato ad affrescare e la conseguente fatica che ha provato, vengo coinvolto emotivamente. Ti faccio un esempio banale: l’artista sta facendo l’affresco, prepara il colore. Bene. Diciamo che il colore dura due giorni. E’ un blu particolare. Prova a pensare che dopo due giorni deve rifare quel colore e deve rifarlo uguale, con un insieme di componenti e, il fatto che con questi strumenti riesco a trasmettere questo genere d’informazioni; sto facendo cultura, sto sollevando curiosità, sto suscitando l’interesse e sto abituando il visitatore a comprendere la bellezza di capire. Tutti siamo capaci davanti alla Pietà Rondanini al Castello Sforzesco di meravigliarci, non serve che ti spiego che è bello. Perciò quando noi contribuiamo a divulgare la bellezza, io intendo la bellezza di capire, interpretare, diffondere cultura e conoscenza sugli artisti. Non dico che diventi un esperto di Michelangelo, però se io ti faccio capire un’opera sei invogliato a vederne una seconda, una terza ancora.

 

Correggimi se sbaglio, attraverso i sistemi tecnologici si riesce a creare una connessione tra il Museo e l’ambiente in cui è inserito?

Certo. Questo assolutamente si.

 

Attraverso app interattive mi addentro poi nel borgo per scoprirlo.

Questo vale anche per le grandi città, non solo per i borghi. Se noi andiamo, banalmente, al Castello Sforzesco e al Duomo (Milano ndr), ebbene tra questi due punti ci sono tanti di quei posti dove fermarsi a guardare e osservare che costituiscono una visita da soli.

 

Hai un luogo del cuore?

Venezia. E’ un legame famigliare. A Venezia, poi, creai il primo totem. Non voglio dire in Europa ma sicuramente in Italia, si. Era il 1988. Servirebbe una mezza giornata per raccontare tutta l’avventura di questo totem.

 

Sei stato tra i pionieri

Assolutamente. La mia fortuna è sempre stata quella di essere un gran curioso e di voler sempre capire. Perché l’hanno fatto così? Questa sete di conoscere mi ha portato a cercare sempre di più. La mia gran fortuna è che mi è rimasta la sindrome del bambino. Perché? Io alla mia età mi chiedo ancora perché.

 

In Italia c’è ancora tanto da fare.

In Italia c’è tantissimo da fare. Impariamo poco dagli altri. Non può più esserci il museo dove le targhette espositive sono ingiallite, con il rivestimento di plastica, oppure vedere espositori in plexiglass con fogli A4 in arabo, cinese, tedesco che se entri nel museo alle quattro del pomeriggio quelli in italiano sono finiti tutti e ti è rimasto l’arabo.

 

Il tuo percorso ideale come sarebbe?

Secondo me dovrebbe essere che dall’inizio del percorso, che può essere in un museo, in una dimora storica, in un sito archeologico o in un borgo, il visitatore è preso per mano ed accompagnato, in modo organizzato se abbiamo preparato dei percorsi, o in modo disorganizzato evidenziando le cose particolari da vedere, integrando le curiosità, avvolgendo ed emozionando con le ricostruzioni virtuali, le proiezioni olografiche in modo tale che la visita abbia una sequenza logica e continuando, si cresce.

 

Crei un percorso immersivo.

Si. Attenzione deve essere fatto in modo molto intelligente senza prevaricare la bellezza intrinseca dell’opera o del luogo. Questi strumenti sono creati per aumentarla, per integrare le informazioni. Più sono specifici più si è interessati a vivere l’esperienza. Io sono convinto che, davanti a un bene culturale, a tutti scatta di capire di più.

 

Quello che propone Alma pro e chi si occupa di digitalizzazione turistica, museale e culturale è quello di essere un mediatore artistico attraverso una forma materiale fatta di tecnologia.

Esatto. Non è una questione economica. Io credo che chi fa questo lavoro debba essere prima di tutto un visitatore. Se tu ragioni da visitatore puoi fare qualcosa di valido, di concreto, altrimenti rischi di fare qualche cosa di pacchiano. Fare un percorso per portare a vedere la ricostruzione olografica di Lorenzo Il Magnifico che parla con Leonardo da Vinci, è bellissimo, si, ma va contestualizzato. Purtroppo, ci sono tantissimi lavori basati su progetti che giocano con gli effetti speciali. Ecco, io non sono per gli effetti speciali fini a sé stessi. Io sono per gli effetti speciali concreti all’interno di un progetto.

 

Qual è stato l’ultimo progetto di cui vi siete occupati?

L’ultimo è per il Comune di Bobbio, che è un borgo nell’Appennino Piacentino, nell’alta Val Trebbia. Questo è un esempio calzante. Con Bobbio è partito tutto da un totem. 

Ponte Gobbo - Bobbio

Ponte Gobbo – Bobbio. CC by Francesco Ungaro – Unsplash

 

Definisci cos’è un totem per chi non li conosce

I totem sono quegli strumenti che si vedono anche nei centri commerciali. Quindi armadi dotati di un monitor. Stabilita la configurazione, dimentichiamoci del centro commerciale. Sono degli strumenti interattivi che hanno delle funzionalità specifiche in base alle esigenze di chi li commissiona. Per il Comune per esempio hanno le videocamere, i sensori di prossimità, gli schermi sono touch e consentono di interagire tra il cittadino/visitatore e il luogo.  Siamo partiti con questo totem a vocazione turistica e poi via via abbiamo creato, credo, un piccolo capolavoro, in quanto dal totem, siamo passati all’app, ai percorsi sia interni che esterni tramite beacon installati nelle vie del borgo e all’interno dei monumenti storici.

 

Definisci cosa sono i beacon.

I beacon sono degli strumenti tipo un telepass che sostanzialmente intercettano lo smartphone o il tablet una volta che hai scaricato l’app. Quando hai scaricato l’app, quindi, incominci a camminare o perché hai scelto un percorso tra quelli programmati o perché ti stai muovendo liberamente, una volta che passi vicino a un beacon, che sono degli intercettori, mettiamola così, rilevano che sei in prossimità di quel punto e ti informano su tutto quello che puoi fare, vedere, scoprire attraverso anche tecnologie a realtà aumentata. Possono essere sia da interno che da esterno. Noi montiamo sempre quelli da esterno anche all’interno per avere omogeneità e sicurezza maggiore di funzionalità. Siamo molto attenti alla parte linguistica. Sui totem noi diamo sempre come standard cinque lingue: italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo e sull’app ci si aggancia al browser di provenienza con relativa lingua di riferimento. Ci avvaliamo della realtà aumentata, per fare un esempio molto semplice: se entro in una chiesa dove è presente un bene artistico di rilevanza storica inquadrando con lo smartphone un indicatore segnalato, si avvierà la spiegazione. Siamo passati alla ricostruzione di oggetti, quindi nel museo della città, su indicazione dell’amministrazione.
La ricostruzione degli oggetti è tridimensionale. Gli oggetti sono dei reperti archeologici che nello specifico sono: ampolle, reliquiari che vengono proiettati su dei proiettori olografici all’interno del Castello di Malaspina dal Verme. Abbiamo fatto delle ricostruzioni di ambienti; stanze che una volta non erano come le vediamo oggi. Il lavoro dei nostri tecnici insieme a un gruppo di storici e studiosi ha ricostruito le stanze com’erano all’epoca medioevale e poi quando divenne residenza abitativa. Abbiamo fatto un lavoro molto importante sulla costruzione di un percorso legata alla possibilità che Leonardo da Vinci sia stato a Bobbio e abbia usato il borgo come sfondo per dipingere la Gioconda. Ci sono studiosi che sposano questa teoria e noi abbiamo organizzato un convegno e una presentazione tutt’ora visibile al Castello, tramite leggii touch, monitor a grande schermo dove si crea una forte interattività tra il pubblico e questi argomenti con sovrapposizioni di immagini, ricostruzione di fossili e altri reperti.

 

Un’amministrazione lungimirante perchè la ricostruzione degli oggetti si avvale di una tecnologia sofisticata.

Assolutamente si. Direi che è raro trovare persone del genere. Tra l’altro appassionate di quello che fanno; avanti con la mente e innamorate del loro lavoro. Sono binomi difficili da trovare in giro.

 

Prossimi lavori?

Stiamo lavorando ad altri progetti che ora manteniamo riservati per motivi di programmazione.

 

Speriamo di avere notizie il prima possibile. Quindi aveva ragione Hemingway, la Val Trebbia è uno dei posti più belli del mondo?

Sembra che avesse proprio ragione. Vi invito a visitarla e se andate a Bobbio, mi raccomando scaricate l’app Bobbio Mon Amour.

 

 


“Contribuiamo a divulgare bellezza”


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